Solennità di San Bartolomeo Apostolo

L’omelia di mons. Napolioni

Domenica 24 agosto 2025

Il Vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, ha presieduto in Collegiata a Busseto il Solenne Pontificale in occasione della solennità di San Bartolomeo apostolo, Patrono della Città.

Per vedere la celebrazione, clicca qui.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia di mons. Napolioni.

Compito del vescovo è dare a tutti la notizia e la certezza che Cristo è risorto ed è vivo. E come faccio io, che non c’ero duemila anni fa? Ringrazio Bartolomeo e gli altri undici, e poi questa catena ininterrotta di mani che hanno trasmesso il dono dello Spirito, la certezza della fede. Una certezza che non dipende da me, da ciascuno di voi, ma dall’amore di Dio che continua a rivelarsi ai piccoli.

Un altro compito del vescovo è accorgersi della fede che c’è nella gente: nei bambini, nei malati, nelle famiglie, perfino nelle storie più sbrindellate. E aiutare ad aprire gli occhi sul passaggio di Dio nella nostra vita: vedere Gesù.

Stiamo attenti a non nascondere Gesù, a non soffocarlo con le nostre cose – anche di Chiesa – quando invece tutto è molto più semplice. Ce lo ricorda questa pagina meravigliosa di Vangelo che Giovanni costruisce attorno a un verbo che gli sta tanto a cuore: vedere.

Il destino dell’uomo è vedere la gloria di Dio e perdere la testa e non avere più la cognizione del tempo e tuffarsi in questo mare di bellezza che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito, che ha generato una vita più forte del male e della morte. Una vita che raccoglie tutto il bene e anche tutto il male perdonato del mondo. E questo non sempre ci piace: perché il male degli altri vorremmo che non fosse perdonato.

Il verbo vedere è usato al passato, al presente e al futuro. Pensiamo all’incontro tra Gesù e Natanaele, che sarà Bartolomeo, figlio di Tolomeo. Filippo gli dice: «Abbiamo trovato colui che i profeti annunciavano: Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazaret». Natanaele dubita: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?».

Eppure, da ogni paese può venire del bene. Magari lo dicevano anche di Busseto fino a un secolo e mezzo fa. «Da Busseto, cosa può venire di buono?» È venuto Giuseppe Verdi e non solo. Eh, non fermatevi a Giuseppe Verdi. Chissà quanto altro di buono verrà da ogni nostro paese, da ogni nostra comunità.

Filippo risponde: «Vieni e vedi». E Gesù, vedendo Natanaele che gli si avvicinava, dice: «Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità». Natanaele si stupisce: «Come mi conosci?». Gesù risponde: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto».

Prima di tutto c’è Dio che ci vede. I più anziani forse ricordano l’immagine di quando eravamo bambini: «Dio ti vede!», l’occhio nel triangolo, la paura di essere scoperti in qualche marachella. Ma quelle erano immagini fasulle di Dio.

Gesù si è accorto di lui: che bello. Quante persone soffrono perché nessuno si accorge di loro! Quanti “invisibili” ci sono nella nostra società, e li stiamo moltiplicando: persone sole, emarginate, che non contano nulla, che non producono, persone che non vorremmo vedere, persone che ci danno fastidio.

«Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Non stava rubando! L’albero di fichi è l’immagine di chi gusta la sapienza, di chi ha un cuore aperto, di chi si riposa nella bellezza della natura, di chi accoglie il giardino che Dio gli ha preparato per essere felice.

Tutto riparte da come ci sentiamo visti e guardati da Dio. E per sapere come sono gli occhi di Dio, guardiamo gli occhi di Gesù: «Fissatolo, lo amò». Gli occhi di Gesù erano indimenticabili. Chi li incontrava o decideva di cambiare vita per seguirlo, oppure se ne andava triste per non aver colto quell’amore gratuito.

Pensiamo a Maria, che si sarà specchiata negli occhi del Figlio. Pensiamo alle lacrime che sgorgano dagli occhi di Gesù su Gerusalemme che non lo accoglie. Pensiamo a Pietro che, dopo averlo rinnegato, incrocia il suo sguardo, piange amaramente e diventa il fondamento della Chiesa.

La nostra fede non dipende da come noi guardiamo Gesù, ma da come ci lasciamo guardare da lui. Come diceva quell’anziano della chiesa di Ars: il parroco gli chiese cosa facesse stando lì tanto tempo senza pregare, e lui rispose: «Io guardo Lui e Lui guarda me».

Ecco la Chiesa della misericordia e della gratuità: la prima carta d’identità che questa festa riconsegna a questa parrocchia e alla Chiesa del nostro tempo. Non una Chiesa che giudica. Mi dà fastidio quando diciamo: «Non è dei nostri».

Gesù è andato a cercare la pecora smarrita, ha dato valore al buon samaritano, ha guarito i lebbrosi stranieri e il servo del centurione romano; perfino un ladrone sulla croce è stato tra i primi a riconoscerlo Salvatore del mondo, mentre i discepoli fuggivano.

Una Chiesa della gratuità e della misericordia, che nasce dall’esperienza della tenerezza di Dio. Questo è il nostro passato, il nostro fondamento, le nostre radici.

E il presente? Filippo gli risponde: «Vieni e vedi». Dovremmo scriverlo sulle porte delle nostre chiese. Sono belle e ricche d’arte non per attirare turisti, ma per mostrare Gesù.

Così anche negli oratori: «Vieni e vedi». Qui si fa sport, ma non alla maniera delle grandi società in cui solo i campioni vanno avanti. Tra l’altro la Cremonese ha battuto il Milan ieri sera, quindi a dimostrazione che, mi spiace per i milanisti, c’è sempre speranza per tutti.

«Vieni e vedi». Si vede dalle facce dei cristiani, da come usciamo di chiesa, dal sorriso, dalla disponibilità.

Ma non siamo chiamati ad essere perfetti individualmente, siamo chiamati al capolavoro della comunione. Guardate come si sopportano, come tirano avanti, come sono tenaci, come sanno perdonarsi.

Vieni e vedi. Noi dobbiamo far vedere Gesù. Gesù vivo. Certo, da come lo adoriamo nell’Eucaristia, da come celebriamo, da come ne parliamo, ma molto di più da come ci arde il cuore. E allora chiedo, raccomando, suggerisco che ci sia sempre la parola di Dio al centro dei nostri incontri per riascoltare lui nella sua novità perenne. Lui è sempre più avanti di noi, è liberante. Vieni e vedi. C’è la libertà che cerchi, c’è la pienezza di vita che nessuno sa darti, c’è la pace che il mondo non sa costruire. Non sono regali, sono semi che crescono e portano frutto. A noi coltivarli.

E infine il futuro. Gesù dice a Natanaele: «Perché ti ho detto che ti ho visto sotto il fico, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste. Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo».

Quante volte i nostri discorsi si concludono con un «vedremo», che è quasi un «ci credo, ma non troppo». Invece Gesù dice: «Vedrete». Siamo fatti per una realtà più grande di quella che conosciamo.

Non difendiamo ad ogni costo ciò che abbiamo o ciò che siamo. Non viviamo nel terrore di invecchiare o di morire. E trasmettiamo ai ragazzi il falso senso della vita. Mostriamo piuttosto ai bambini e ai giovani che i nostri occhi guardano lontano, con gioia e con speranza.

Perché sappiamo come il Signore ci ha guardato, e non lo dimenticheremo mai. Sappiamo che la nostra fede non è solo tradizione, ma un incontro di libertà. Oggi più che mai si diventa cristiani per scelta, anche dentro le circostanze più difficili. Non chiudiamo la porta a nessuno: «Vieni e vedi».

Così onoriamo san Bartolomeo, così custodiamo le memorie più feconde della comunità, così manteniamo vivo questo fiume che non deve inaridirsi, questo canto che non deve spegnersi, questa sinfonia ecclesiale che deve restare gioia per tutti, anche per chi oggi non ce l’ha.


Locandina